Pac-Man è uno dei videogiochi più famosi al mondo, clonato decine di volte e disponibile in innumerevoli varianti.
Eppure è molto probabile che in pochi conoscano Toru Iwatani, il suo creatore, e le vicende che hanno accompagnato la nascita di un gioco che lo stesso ideatore non esita a definire “creato per le donne e per le coppie”.
Toru Iwatani
Il papà di Pac-Man nasce a Tokio, con precisione nel quartiere Meguro, il 25 gennaio del 1955 e la sua avventura nel mondo dei videogiochi è decisamente casuale. Iwatani, infatti, è attratto dalle potenzialità delle nascenti tecnologie digitali, in particolare come strumento di comunicazione visiva, anche se le scarse capacità dei computer del periodo sono elemento di frustrazione per il giovane nipponico.
Quando arriva alla Namco nel 1977, la gloriosa società nipponica produce flipper e il desiderio di Iwatani è quello di dare sfogo alla propria creatività realizzando un videogioco con le dinamiche tipiche di tale strumento di intrattenimento: un anno dopo nasce Gee Bee.
Gee Bee
Nonostante Iwatani sia soddisfatto di aver creato quello che, a tutti gli effetti, è il primo videogioco della Namco, sente che manca ancora qualcosa. Infatti la sua visione da “comunicatore” mal tollera che le sue idee raggiungano solo una parte dei potenziali utilizzatori.
Il designer Giapponese (guai a chiamarlo programmatore, visto che non lo è mai stato) comincia così ad analizzare come raggiungere il pubblico femminile, ancora spaventato dalla rivoluzione elettronica in atto e molto lontano dal mondo dei coin-up che trovano la loro naturale collocazione all’interno dei bar o, comunque, in locali prettamente maschili.
Iwatani comincia ad immaginare un gioco kawaii-like (carino, adorabile) che possa attrarre una gamma eterogena di adolescenti e che sia facilmente riconoscibile. L’idea, inoltre, è quella di creare una esperienza non-violenta, in linea con i manga per bambini e l’ingenuità tipica dei fumetti Disney, di cui il designer è grande fan. Il lavoro del designer nipponico comincia con una serie di schizzi sul suo taccuino, basando il concept del nuovo gioco su uno degli elementi fondamentali della vita umana: l’azione di mangiare.
Sulla nascita di Pac-Man, ad Iwatani piace raccontare l’aneddoto della pizza:
“…one lunch time I was quite hungry and I ordered a whole pizza. I helped myself to a wedge and what was left was the idea for the Pac-Man shape.”
[…una volta a pranzo ero tanto affamato da ordinare una pizza intera. Dopo aver mangiato una fetta, quello che restò mi diede l’idea della forma di Pac-Man.]
Iwatani e una "Pac-Man pizza"
Questa storia (per stessa ammissione del designer giapponese) è parzialmente vera, essendo la forma finale di Pac-Man legata al simbolo della parola “kuchi” (bocca), chiaro elemento centrale in un gioco incentrato sul cibo, che è rappresentato da una forma quadrata.
kuchi
Iwatani ne cattura la linearità, decidendo, però, che la forma rotonda è più armoniosa, e la sorta di cuneo che ne interrompe la regolarità ben sintetizza l’idea di una persona affamata. Sulla semplicità dello shape è lo stesso designer a non voler aggiungere altri elementi (es: occhi o baffi), ritenendo che ciò limiterebbero la fantasia del giocatore nel “fare proprio” il gioco. La forma risultante è universalmente nota come “pizza-shape”.
Il secondo elemento del gioco, il cibo, è rappresentato in modo ancora più semplice: dei semplici pallini colorati.
Stilizzati i due elementi principali, non resta che immaginare la dinamica del gioco: l’idea iniziale di posizionare il kuchi al centro del cibo non chiarisce bene le azioni da intraprendere, così Iwatani aggiunge un labirinto e posiziona il cibo in varie parti di esso, costringendo il giocatore ad interagire con la scena per “mangiare” quanto più possibile.
Uno degli schizzi originali di Pac-Man
Completata l’ambientazione, il designer si concentra sulla giocabilità, poiché non c’è molto di appassionante nel semplice mangiare cibo. Così introduce 4 fantasmini: Inky, Pinky, Blinky e Cly i cui colori, rosso, blu, giallo e rosa, sono scelti sempre tenendo presenti i gusti femminili. Ad essi si aggiungono, infine, gli “energizzanti” che permettono al pizza-shape di vendicarsi dei fantasmi, divorandoli, e relegandoli nell’apposito recinto.
Signore e signori ecco a voi Pac-Man! Il nome definitivo si deve allo slang giapponese paku paku (in Giappone il nome originale è Pakkuman) che descrive l’azione di apertura/chiusura della bocca mentre si mangia.
Da sottolineare che Iwatani elogia il ruolo svolto dal Team di ingegneri e programmatori (circa 5 persone) che fattivamente realizzano il gioco e, in particolare, è orgoglioso dell’algoritmo di controllo dei 4 fantasmini, non banale, e uno degli elementi principali di successo del gioco stesso. Il designer giapponese ha infatti spinto affinché l’attacco dei 4 spirit fosse “graduale ed incrementale”, in modo da non mandare nel panico il giocatore e dargli la possibilità di rendersi conto di cosa fare.
Lo sviluppo di Pac-Man richiede quasi 1anno e mezzo (più della media del periodo) e la Namco non è del tutto convinta delle sue potenzialità. Nonostante ciò, Pakkuman raggiunge il mercato e, dopo un avvio lento e critiche poco lusinghiere, comincia a trasformarsi in un vero e proprio fenomeno globale.
Dopo Pac-Man, che nel 2005 si aggiudicherà il Guinness World Record come videogioco commerciale di maggior successo della storia, Iwatani si dedica allo sviluppo di Libble Rabble (1983) in cui il giocatore deve raccogliere dei funghetti evitando vari nemici.
Libble Rabble
La nuova creatura del designer giapponese non riscuote particolare successo, ma questo non lo ferma dall’immaginare e progettare nuovi software pensati per emozionare il grande pubblico.
Nel corso del trentennio successivo, Iwatani si distacca sempre più dalla parte operativa, trasformandosi in quello che lui stesso più volte definisce “amministrativo”. In particolare le attività di Iwatani si sviluppano all’interno di un gruppo di lavoro di 40 persone, in cui si discute di nuovi media, software educativo e concetti annessi alla formazione. Il papà di Pac-Man affronta il tutto sempre con l’idea di rendere l’apprendimento un divertimento, convinto che tale approccio sia il più proficuo tra quelli attuabili.
La sua filosofia è ben descritta dalla personale visione di game designer:
“You must understand people’s souls (kokoro) and be creative enough to imagine things that can’t be thought or imagined by others. You must be compelled to do something a little bit different than the rest of the crowd and enjoy being different. You must also be able to visualize the images that will make up the game, and you shouldn’t compromise with the first easy idea that comes to mind. In the last analysis, you must enjoy making people happy. That’s the basis of being a good game designer, and leads to great game design.”
[È necessario capire l’anima delle persone (Kokoro) ed essere abbastanza creativo per immaginare cose che altri non riesco a pensare o immaginare. Devi essere obbligato a fare qualcosa di un po’ diverso rispetto e godere di tale diversità. È, inoltre, necessario essere in grado di visualizzare il gioco, senza scendere a compromessi rispetto alla prima, semplice, idea che viene in mente. In ultima analisi, è necessario godere nel rendere felici le persone. Questa è la base per un buon game designer, e porta alla creazione di un grande gioco.]
Proprio l’essenza di condivisione e di apertura, porta il papà di Pac-Man ad interessarsi ad una particolare iniziativa congiunta tra la Namco e la Tokyo Polytechnic University (TPU) per promuovere la cultura e lo sviluppo dei giochi. Dopo una serie di intensi seminari, e dopo aver percepito l’entusiasmo dei giovani studenti, Iwatani decide di accettare la proposta della TPU (2007) di diventare docente a tempo pieno del “Department of Game, Faculty of Arts, Tokyo Polytechnic University”, finalizzato a risollevare la difficile situazione nipponica nel settore dello sviluppo dei giochi:
“I thought it more important to pass on the know-how that I've accumulated over the last 30 years to the next generation. Right now, the state of career training in the Japanese games industry is on the verge of crisis”
[Ritengo che sia fondamentale trasmettere il know-how che ho accumulato negli ultimi 30 anni alla prossima generazione. In questo momento, lo stato della formazione professionale nel settore dei giochi in Giappone è sull'orlo della crisi]
Iwatani presso il laboratorio alla Tokio University
Grazie al suo impegno, oggi la TPU è all’avanguardia nella ricerca del connubio giocatore-gioco, tanto da aver, ad esempio, specifiche strutture per monitorare l'attività cerebrale per indagare a fondo, e scientificamente, sul rapporto tra i giochi e la reazione del cervello umano.
Da sottolineare, infine, che nel 2010 Iwatani è stato insignito del Guinness World Record, sempre per Pac-Man, come gioco arcade più installato di sempre.
Il professor Iwatani all'assegnazione del Guinness World Record