L’evoluzione di Android ha portato Google a sviluppare un sistema in cui ogni nuova release rappresenta uno step evolutivo sostanziale di quello che oggi è uno dei punti di riferimento per il mercato degli smart-phone, giocandosi il ruolo di primo attore con iOS e Windows Phone.
Dietro quello che sembra l’ennesimo successo della società di Mountain View, troviamo Andy Rubin e la sua idea:
“make a device about the size of a small candy bar that cost less than $10 and allowed users to scan objects and unearth information about them on the Internet.
cioè quella di realizzare un device di dimensioni contenute e dal costo irrisorio che permetta agli utenti di scannerizzare (fotografare) oggetti ed ottenere informazioni su di essi attraverso internet. Siamo nel 1999 e la telefonia non è assolutamente una componente prevista per il dispositivo di Rubin.
Le dimensioni iniziali previste sono paragonabili a quelle di una “caramella” (candy), ma si passa velocemente alla “saponetta” (bar of soap), con l’aggiunta di un modulo per la trasmissione/ricezione radio. Nasce così Sidekick.
Nel 2002 Rubin tiene una serie di seminari per presentare il proprio prodotto e, durante un incontro presso la facoltà di ingegneria di Stanford, incontra Page e Brin. I due fondatori di Google, dopo aver ascoltato la presentazione, decidono di esaminare il dispositivo e Page, scoprendo che lo stesso utilizza Google come motore di ricerca predefinito, si lascia scappare uno spontaneo “Cool”.
In realtà Page accarezza da tempo l’idea di uno smart-device con funzioni di telefonia incorporata, sulla falsa riga di quanto fatto da Microsoft con Pocket PC 2002 Phone Edition, e l’ascesa delle connessioni wireless sta aprendo nuovi scenari con utenti sempre connessi, ovunque si trovino.
Entrambi i fondatori di BigG cominciano ad usare il Sidekick, ma non abbandonano l’ambizione di realizzare in proprio un prodotto similare (in realtà non molto definito, e senza sapere se investire sull’hardware, sul software o su entrambi).
Sidekick 3, presentato nel 2006
Nel 2005 Google finanzia, con 2 milioni di dollari, un progetto di Nicholas Negroponte, fondatore dei M.I.T. Media Laboratory, per la creazione di un laptop wireless dal costo di 100$, a ulteriore dimostrazione del fatto che l’azienda era alla ricerca di prodotti per estendere il proprio campo d’azione nel settore mobile.
Nello stesso anno arriva la svolta: Rubin, colpito dall’interessamento di Google, chiede di incontrare Page e, durante il meeting, pronunciando la semplice frase: “Is this interesting to Google?”, segna l’inizio dell’era dell’Androide.
Ma cosa propose esattamente Rubin a Page? Di preciso, ovviamente, è difficile saperlo, ma sembra che il papà del Sidekick illustrò a Page quello che riteneva il futuro: una serie di dispositivi (smart-phone) che permettessero agli utenti della telefonia mobile di connettersi ad internet ed estendere così le possibilità di comunicazione in movimento.
Rubin evidenziò come il mercato dei PC vedeva la vendita annuale (2005) di circa 200milioni unità, mentre quello della telefonia era di circa 700milioni. Nonostante ciò, ogni telefonino disponeva di un proprio sistema operativo, chiuso e restio ad una evoluzione consona alla sua visione.
In questo scenario la sua sturt-up, Android Inc. (Palo Alto - California), era in grado di offrire una nuova tipologia di Mobile OS: open (basata su Kernel Linux), attento agli standard, basato su una UI semplice e funzionale e corredato da una serie di strumenti pensati per facilitare la vita agli sviluppatori. Ma, soprattutto, il sistema era gratuito per chiunque volesse utilizzarlo, poiché Rubin vedeva il proprio Business legato al supporto ed ai servizi accessori.
Più che il prodotto in se, a sbalordire Page fu il motivo per cui Rubin ha chiesto di vederlo: non si tratta di soldi (Android Inc. ha già abbastanza fondi), ma la richiesta che Google desse al suo prodotto una sorta di imprimatur, ovvero che fosse il sistema mobile scelto da BigG, confermando la cosa anche con una semplice e-mail di pubblico dominio.
Andy Rubin e il modellino di elicottero auto-pilotato presente nella Hall del quartier generale della divisione Mobile di Google, costruito dallo stesso Rubin.
Durante l’esposizione di Rubin, Page era completamente concentrato sul prototipo Android-based, ben conscio che Google non era preparato alla sfida del Web Mobile, nonostante questa potesse rivoluzionare gli equilibri di mercato e scombussolare le proprie strategie (ADV e Search in primis).
Inoltre c’era Microsoft, la grande rivale, che stava cavalcando l’onda con la piattaforma Windows Mobile che, nonostante fosse ferma ad una quota di mercato del 10%, era comunque in rapida ascesa perché permetteva già, in certa misura, quanto Rubin stava profetizzando. Se 10 anni prima Google era riuscita a divenire leader nel mondo Web era dovuto anche al fatto che Microsoft aveva sottovalutato l’impatto della Rete, ma ora le cose potevano capovolgersi.
Page, inoltre, sapeva bene che “sponsorizzare” una società terza significava dargli troppo potere (ricordate IBM con Microsoft?) e così propose a Rubin ciò che quest’ultimo non si aspettava: l’acquisizione di Androind Inc.
Così nel 2005 Android Inc. si trasforma nella Google Mobile Division affidata, ovviamente, alla cura di Rubin e degli altri tre co-fondatori (Rich Miner, Nick Sears e Chris White). Durante la conferenza che annuncia l’acquisizione e illustra la futura strategia del colosso di Mountain View nel settore Mobile, Rubin afferma:
“Google's model is to build a killer app, then monetize it later"
Ma cosa significava ciò realmente? Forse che Google intendeva seguire la strada intrapresa da Apple con l’iPhone per realizzare una sorta di “gPhone”? Il fatto è che la strategia era tutt’altro che chiara e quando a Novembre dello stesso anno nasce l’ Open Handset Alliance, un consorzio formato da 34 società (tra cui Texas Instruments, Intel, T-Mobile,e Sprint Nextel), con l’intento di realizzare con Google un dispositivo wireless basato su un sistema Linux, i dubbi aumentano e la domanda diventa: “E’ così che Google intende entrare in un mercato (mobile) da miliardi di dollari? Con un consorzio?”
Anche i principali competitor/protagonisti del mercato non sanno trattenere i loro commenti: Steve Ballmer (CEO di Microsoft) liquidò la cosa durante una conferenza in Giappone affermando che “…i loro sforzi sono solo parole su carta”, mentre il CEO di Nokia definì la cosa come “Un’altra piattaforma Linux”.
Siamo a novembre del 2007 e Google scuote la comunità degli sviluppatori, pubblicando la prima versione pubblica (early look) dell’Android Software Developer Kit e mettendo a disposizione 10 milioni di dollari per coloro che realizzeranno le migliori applicazioni per il nuovo sistema.
Le cose diventano immediatamente chiare, evidenziando come Google non sia intenzionata a realizzare un gPhone ma un ecosistema software che sia indipendente quanto più possibile dall’hardware ed aperto al mondo degli sviluppatori. L’idea è quella di fornire un sistema flessibile e adattabile, pensato per il web (e i servizi di Google in particolare) e per essere personalizzato in ogni suo aspetto, comprese le App primarie come browser e client di posta elettronica.
La strategia era delineata: riuscire a rendere semplice e user-friendly la navigazione web su dispositivi palmari, con Google punto di accesso al mondo della Rete. Il fatto che fosse una strategia vincente fu indirettamente confermato durante il periodo natalizio dello stesso anno, quando il lancio commerciale dell’iPhone portò il 5% del traffico mondiale mobile sul motore di ricerca della società di Mountain View.
Ad agosto del 2008 è la volta dell’Android 0.9 SDK beta, sulla base del quale il gigante statunitense T-Mobile annuncia il T-Mobile G1 (settembre 2008), il primo smartphone basato su Android, annuncio seguito, pochi giorni dopo, dal rilascio dell’ Android SDK Release Candidate 1.0. A circa un mese di distanza (ottobre 2008) Google rilascia il codice sorgente di Android 1.0 sotto licenza Apache.
Uno dei punti chiavi dello sviluppo applicativo per Android è sempre stato quello di rendere possibile l’interazione tra le varie App e la possibilità di riusare componenti trasversali, abbracciando il modello “cloud-computing” che abbatte il concetto di localizzazione delle risorse.
La versione 1.0 viene aggiornata velocemente con la versione 1.1, ma non sopperisce ancora ad uno dei principali limiti, ovvero la mancanza del supporto alla tastiera virtuale (soft-keyboard), che costringe i produttori di smart-phone ad installare Android solo sui sistemi dotati di tastiera fisica, e la mancanza del supporto alle API per l’utilizzo nelle proprie App del bluetooth. La prima feauture viene aggiunta con il rilascio della release 1.5, mentre per il bluetooth bisogna attendere la versione 2.0.
La cosa fondamentale da evidenziare nella strategia di Google è che Android non è un sistema isolato, bensì fa parte dell’immenso ecosistema della società di Mointan View. Così è possibile sfruttare i servizi di Google Maps per la geo localizzazione, così come è facilmente utilizzabile il sistema di Picasa per caricare al volo una foto appena scattata con la fotocamere del proprio smart-phone.
Maps e Picasa insieme