Nel contesto scarsamente tecnologico dell'Italia degli anni '50 si inserisce l'Olivetti, con l'intenzione di creare un'alternativa tecnologica al predominio d'oltreoceano che già stava delineandosi in quegli anni. La società è in un periodo di grande espansione: ritmi di crescita annuali compresi fra il 20 e il 42%, presenza in 177 paesi con 26 organizzazioni commerciali dirette e 108 agenti indipendenti, 9 stabilimenti in Italia e 9 all'estero, 25.000 addetti, 30% delle vendite mondiali di macchine da scrivere, oltre un terzo delle macchine addizionatrici e contabili.
In Italia la quota di mercato sfiora il 90%, mentre l’Olivetti è praticamente monopolista in Spagna e Messico, il tutto grazie ai propri prodotti meccanici per la contabilità, la scrittura ed il calcolo, noti in tutto il mondo per la genialità della concezione e l'originalità del design.
Adriano Olivetti da così il via al “Risorgimento Tecnologico” Italo-Europeo, dimostrando al mondo come sia possibile innovare senza necessariamente dover andare a rimorchio degli altri paesi.
L’impresa è tutt’altro che semplice, e il percorso si rileverà caratterizzato da forti ostacoli ma anche di clamorosi, e forse inaspettati, successi tecnologici e commerciali.
Il promo di questi ostacoli (e forse il più grande) è di tipo culturale: infatti se, come detto, è vero che in quegli anni l’elettronica è un qualcosa di assolutamente estraneo alla nostra realtà, è altrettanto vero che è altrettanto dalla mentalità dei dirigenti e dei progettisti, che ritengono assurdo, con il tipico modo di pensare italiano, investire in risorse umane nella ricerca quando le cose vanno già a gonfie vele con i prodotti meccanici.
Per fortuna Adriano Olivetti capisce che non è così e che l'elettronica è il futuro, un futuro a da cui l’azienda non poteva trovarsi impreparata. Per questo Adriano ritiene importante investire in questo settore, estremamente avanzato e altrettanto rischioso, con una risolutezza ed una determinazione che molti definiscono “follia”.
Ma l'obiettivo strategico non è certo realizzare un'alternativa elettronica alle macchine da calcolo prodotte dall'azienda, cosa peraltro impossibile con le tecnologie dell'epoca, bensì quello di avviare un processo di vera e propria trasformazione dell'azienda nella direzione dell'elaborazione elettronica dei dati, per poi riuscire ad avere un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti, prevalentemente giapponesi, quando la tecnologia avesse offerto soluzioni anche per le piccole macchine da calcolo.
Il primo passo è l’accordo commerciale con la francese Compagnie des Machines Bull, con la quale nasce l’Olivetti-Bull, incaricata della vendita ed assistenza in Italia degli impianti meccanografici (ed in seguito degli elaboratori) progettati e prodotti dalla ditta d’oltralpe.
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Per Olivetti ciò significa il primo approccio al trattamento automatico dei dati, che anche se di natura prettamente meccanica rappresenta comunque uno step obbligato per evitare passi azzardati e prepararsi attraverso un percorso graduale all’ elaborazione elettronica delle informazioni.
Nel 1952 Olivetti costruisce un laboratorio di ricerche elettroniche a New Canaan, negli Stati Uniti, con lo scopo di creare un osservatorio che prenda coscienza delle nuove tecnologie là dove esse si stavano più rapidamente sviluppando: nello stesso anno l'IBM lanciava il mod. IBM 701 interamente a valvole.
Due anni più tardi, nel 1954, arriva l’occasione giusta per dare l'avvio all'avventura informatica in Italia: l’Univerità di Pisa, in vista della realizzazione di un elettrosincrotone (che poi fu costruito a Frascati), riceve un generoso contributo di 150 milioni dai comuni di Pisa, Lucca e Livorno (circa 3.200 milioni attuali). L’istituto contatta nientemeno Enrico Fermi per decidere l’utilizzo più opportuno dello stanziamento e il fisico consiglia la costruzione di un calcolatore elettronico, del quale si sarebbero avvantaggiate tutte le scienze e gli indirizzi di ricerca.
Il calcolatore, se costruita in Italia, sarebbe costata 120-140 milioni, mentre per l'acquisto sarebbe stato necessario disporre perlomeno del quadruplo, senza contare l'esperienza che i ricercatori avrebbero accumulato nel settore informatico.
Viene così siglato un accordo di collaborazione economica e tecnologica con l'Olivetti che prevede la formazione di un gruppo misto di ricercatori universitari/ingegneri Olivetti, per la progettazione dell'architettura di base.
In seguito i due gruppi si divideranno: da una parte l'Università di Pisa, più attenta agli obiettivi di ricerca e didattici, da vita alla CEP (Calcolatrice Elettronica Pisana), terminata nel 1960. L'Olivetti crea nel 1955 il suo Laboratorio di Ricerche Elettroniche (con sede a Barbaricina, nella campagna alle porte di Pisa), a cui afferisce il cosiddetto “gruppo di Pisa”, costituito da giovani laureati e tecnici specializzati diretti dall'ing. Mario Tchou. Scopo: realizzare il prototipo di un calcolatore commerciale general-purpose.