Cap.5: Gli ultimi anni, 1995 - 1999. Crisi o opportunità?

Gli ultimi anni del ventesimo secolo corrispondo al progressivo tramonto della prima software house italiana.

Quest’ultimo periodo vede l’azienda bolognese affrontare un ridimensionamento, societario e produttivo, sempre più radicale, cominciato con la fine dei prodotti da edicola: infatti, in questi anni Simulmondo si trova a lavorare su commissione, ad esempio sviluppando progetti per la televisione, mentre la produzione di videogiochi viene progressivamente abbandonata. I titoli originali diventano sempre meno, pochissimi se paragonati alle numerose uscite che caratterizzano gli anni precedenti.

Questa situazione è sintomo di tutta una serie di problematiche interne ed esterne che portano l’azienda prima a cambiare denominazione e poi, inevitabilmente, alla chiusura. Tuttavia, anche in questa situazione, la software house bolognese prosegue il suo ruolo di innovatrice del panorama nazionale, introducendo nuove formule e nuovi prodotti che prendono presto piede sul mercato italiano.

Il fallimento delle serie da edicola è un duro colpo per la software house bolognese, lasciando strascichi pesantisull’organizzazione societaria che diventano i prodromi della fase discendente di Simulmondo, che si concluderà con la sua chiusura.

Da una parte i problemi derivano dal fatto che la cadenza mensile delle serie, mutuata dai fumetti Bonelli, richieda tempi di sviluppo ridottissimi per un videogioco e risulti essere “troppo frequente per la durata d'uso di un videogame, più lenta di quella di un fumetto”,138 portando Simulmondo a convertire totalmente la propria produzione in funzione dei prodotti da edicola. Quando diviene non più conveniente lo sviluppo di questo tipo di gioco, ecco che l’azienda che ha investito tutto su di esso si trova con una struttura inadeguata al mercato.

Un po’ lastessa cosa che accade a quegli animali che l’evoluzione porta ad iperspecializzarsi nell’attività più adatta a sopravvivere nell’ambiente in cui vivono. Ciò porta la specie ad essere estremamente efficiente nelle condizioni di vita che le vengono richieste, tuttavia il suo essere così efficace la rende meno resiliente, cioè meno capace di reagire ad eventuali cambiamenti delle condizioni ambientali a cui si è adattata.

Dall’altra parte, il progetto relativo alle serie da edicola porta ad una rottura tra la dirigenza ed i suoidipendenti, molti dei quali decidono di abbandonare l’azienda, spinti da un orario di lavoro insostenibile e da metodo di produzione che ha abbandonato qualità e attenzione al processo creativo per stare al passo delle enormi quantità di prodotti richieste dalla distribuzione in edicola.

Tra costoro ci sono molti dei collaboratori storici di Simulmondo, nonché figure che ricoprono ruoli di responsabilità all’interno dell’azienda: infatti, tra il 1993 ed il 1994 lasciano la software house tre responsabili di produzione su quattro, cui spetta il compito di gestire i dipendenti esterni ed interni; assieme a loro, abbandona anche il direttore di produzione Ivan Venturi, che svolge il delicato ruolo di supervisionare l’intera catena produttiva, coordinando i responsabili dei vari settori della produzione e seguendo direttamente la lavorazione dei titoli che sono in fase di sviluppo.

Questa vera e propria “emorragia interna” significa per Simulmondo una perdita inestimabile di personale competente e qualificato, che rende più difficile riconvertire la catena produttiva alla creazione di qualcosa di diverso dalle avventure a puntate:

"Perché per fare videogiochi serve gente che sappia fare i videogiochi. Se tutti quelli che li sanno fare vanno via non basta volerli produrre. I videogiochi sono - e sempre saranno - una cosa complicata da fare: non è un gioco fare giochi.139"

Ma quali sono state le cause di questa situazione? Per Ivan Venturi il principale problema è dovuto all’organizzazione produttiva e alla mancata specializzazione che hanno reso l’azienda più vulnerabile. Infatti, ilmodello su cui Simulmondo si basa è sostanzialmente quello del lavoro “artigianale” svolto dai dipendenti, ragazzi di vent'anni dalle ottime capacità lavorative, ma con scarse capacità gestionali.

La produzione di un gioco richiede un tempo di lavorazione fisso, non ottimizzabile semplicemente aumentando la quantità di forza lavoro, ma solo con una radicale trasformazione dell'organizzazione del ciclo produttivo. Invece, per poter mantenere le scadenze dei prodottida edicola, Simulmondo non fa altro che aumentare i propri dipendenti, cosa che, però, non porta ad una diminuzione delle ore di lavoro pro capite, che raggiungono livelli insostenibili. In questi anni, inoltre, si assiste ad un cambiamento del mercato dei videogiochi italiano, che vede il tramonto degli home computer, cancellati dall’arrivo delle console di nuova generazione, in particolare Playstation, che diviene la piattaforma principale per il videogioco domestico.

L’arrivo di Playstation consente alle grandi compagnie estere di riprendere la maggioranza quasi assoluta del mercato italiano. Simulmondo reagisce a questo cambiamento della situazione circostante mantenendo, come negli anni passati, una vasta produzione che spazia dai lavori su commissione, ai videogiochi, dai prodotti educativi alle riviste editoriali. Questo tipo di lavori consente all'azienda di sopravvivere, ma non le permettono di acquisire una solida porzione di mercato:

"Parlando di questi argomenti con Ricky Cangini, quando ci siamo visti l’ultima volta, mi ha detto quello cheera il suo parere, che ritengo giusto, anzi lampante. Lo espongo. Simulmondo aveva, negli anni, raggiunto un eccellenza nella simulazione di calcio, sia giocato come „partita’ sia come „manageriale/strategico’.

Probabilmente, avendo continuato a investire su quello, e magari tagliando qualche (molte) altre cose, si sarebbe riusciti a ricavare negli anni successivi una nicchia, uno spazio nel mercato (che nel frattempo era cresciuto notevolmente, con investimenti impensabili per l’Italia) che magari avrebbe consentito all’azienda di continuare a esistere.140"

Per Francesco Carlà, invece, questi cambiamenti non sono dovuti ad una sorta di crisi interna, quanto piuttosto aduna nuova strategia per sopravvivere alle mutate condizioni del mercato. Il fondatore di Simulmondo crede che proseguire nella classica produzione di videogiochi sia “come pensare di fare film muti oggi”141 e decide di ampliare il proprio sguardo per lavorare a prodotti nuovi e stimolanti. A ciò bisogna aggiungere il suo rifiuto di lavorare per le console, nuove regine del panorama hardware:

"Non volevo fare giochi per le console perché andavano contro la libertà produttiva dell’impresa. Le console ti obbligavano a comunicare loro il titolo, inviare una sceneggiatura perché l’approvassero, farti approvare vari milestones della produzione per impedire che tu ci mettessi cose che loro non volevano. Poi bisognava sottostare alle scadenze che venivano imposte da loro e le copie fisiche erano da loro prodotte. A me non andavano queste costrizioni produttive e non volevo produrre uno, due titoli l’anno con il budget delle console. E quindi concentrare il rischio in questi due titoli. Alcuni giochi come MilleMiglia sono arrivati su console è vero, ma sono stati fatti dai licenziatari giapponesi.142"

A ciò bisogna aggiungere il fatto che il lavoro su commissione sia molto conveniente dal punto di vista economico per Simulmondo, poiché collabora con partner che godono della possibilità di poter investire molto perutilizzare le competenze della software house bolognese sui propri prodotti.

 


 Riferimenti

138 F. CARLÀ in G. GENTILI, Intervista a Francesco Carlà, in G. GENTILI, Op. cit.

139 I. VENTURI, op. cit., 2015.

140 I. VENTURI, Fare videogiochi in gruppo: Errori Storici, 24/02/2010, cit.

141 F. CARLÀ, op. cit., 2015.

142 Ibid.

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