Cap.4.4: Il mercato videoludico mondiale nei primi anni 90

Negli anni in cui Simulmondo produce i suoi giochi da edicola, nel resto dell’Europa si fanno grandi passi avanti, specialmente nel campo della narrazione videoludica, in cui la software house bolognese ha appena cominciato ad affacciarsi.

I primi anni ‘90 sono caratterizzati dalle sperimentazioni sulla grafica 3D e, in Europa, vedono la Francia raggiungere l’Inghilterra come paese di punta della creazione di videogiochi in Europa, grazie al lavoro di case come Delphine ed Infogrames. I giochi sviluppati dai transalpini Frederick Raynal e Eric Chahi segnano un passo avanti nella narrazione videoludica, tanto che i due “potrebbero forse scrivere il primo libro di regia interattiva, tanto stanno dimostrando di capirne i processi e le necessità.”122 

Essi, infatti, si ispirano alle tecniche cinematografiche per riuscire a dare una voce propria alla narrazione del videogioco, in grado di immergere l’utente nella vicenda senzadimenticare di coinvolgerlo direttamente in essa, visto che sono proprio le azioni del giocatore sul programma, il suo intervento attivo, a distinguerlo dallo spettatore cinematografico. Raynal, dopo aver curato la conversione PC di Alpha Waves, il primo platform in 3D in assoluto, nato proprio in Francia, si cimenta nella sua prima opera con la quale fonda un genere: il survival horror. Il gioco si chiama Alone in the Dark, uscito nel 1992, ed è il primo a mettere il giocatore di fronte alla sfida di fuggire da un luogo infestato da creature spaventose, basandosi sulle (poche) risorse che può procurarsi nell’ambiente circostante.

Reynal decide di suscitare paura nel giocatore non tanto utilizzando la grafica (all’epoca ancora poco realistica) ma il gameplay; nelle prime fasi di gioco l’utente si vede crollare il pavimento sotto i piedi, mentre una delle prime porte che deve aprire nasconde un mostro in agguato. Ciò porta un costante senso di tensione: il giocatore, segnato da queste esperienze, camminerà con cautela per i corridoi e farà attenzione alle porte per il resto del gioco, incerto su ciò che possono nascondere. Dall’altra parte, Chahi innova la narrazione facendo attenzione al rapporto tra sequenze interattive e sequenze narrative, le cosiddette cutscenes.

Nel suo titolo del 1991 Another World (conosciuto anche con il titolo Out of this world) utilizza le cutscenes non tanto come lunghi intermezzi usati per raccontare la storia, lasciando le restanti sequenze per il gioco vero e proprio, ma intreccia le due sezioni rendendo l’una fuzionale all’altra. Come nota Tristan Donovan123 la sequenza iniziale è illuminante: il protagonista esplora lo strano pianeta in cui è capitato, sullo sfondo una strana bestia si aggira con fare minaccioso; con una brevissima cutscene la bestia balza ruggendo contro il protagonista, da qui parte un’altra sezione giocata che vede il protagonista tentare di sfuggire al mostro che lo insegue. Grazie a questi accorgimenti, Chahi riesce a raccontare la sua storia utilizzando semplicemente le immagini, senza bisogno di ricorrere a dialoghi o didascalie esplicative.

Nel frattempo, in America si prepara un nuovo passo avanti della storia del videogioco, il punto di svolta costituito da Id Software, la quale persegue un’idea di gioco elettronico in qualche modo opposta a quella dei francesi. Il focus delle produzioni di Id, come il celeberrimo Doom sembra essere concentrato maggiormente su un comparto grafico all’avanguardia, il cui esempio migliore è il potentissimo motore grafico 3D che consente di costruire un mondo dettagliato e tridimensionale, e su un gameplay adrenalinico, che mette il giocatore a confronto con orde di mostri agguerriti.

A differenza di quanto visto finora, dunque, l'attenzione della casa americana va più al gioco in sé che alla parte narrativa, che risulta essere una mera cornice introduttiva: non a caso John Romero, co-creatore di Doom, paragona la storia in un videogame a quella di un film porno,124 cioè non necessaria per chi ne fruisce. Il vero obiettivo di Doom è scioccare il giocatore con la velocità dell’engine e gli effetti sonori e grafici. Tuttavia, la casatexana risulta innovativa anche da un altro punto di vista, quello distributivo, creando un sistema di distribuzione mai visto prima che ottiene un enorme successo consacrando Doom tra i titoli più venduti dell’inizio degli anni ‘90. Id, infatti, fornisce copie della propria creatura, attraverso il sistema dello shareware, che consiste nel fornire una prima parte di gioco scaricabile gratuitamente da internet, offrendo poi la possibilità di acquistare a pagamento le missioni successive.

Questa innovativa strategia, unita ad una campagna di marketing virale tesa a costruire una comunità di fan in trepidante attesa dell’uscita delgioco, fa sì che la società texana riesca a distribuire in 5 mesi dal lancio più di 1 milione di versioni gratuite di Doom, guadagnando circa 100.000 dollari al giorno grazie ai giocatori che acquistano la versione completa. Dunque, un successo basato sulla capacità di inventare un modo nuovo ed efficace di arrivare al proprio pubblico, un po’ la stessa cosa avvenuta con Simulmondo e i suoi giochi da edicola: seppur su scala molto più piccola, la software house bolognese è capace di inventare un sistema distributivo in grado di colpire al cuore il proprio pubblico di riferimento – in questo caso i fan di Dylan Dog Tex – garantendo un alto numero di vendite, che si aggirano attorno alle 50.000 copie vendute per il primo Dylan Dog e 25.000 per il primo Tex, attestandosi poi attorno alle 10.000 copie per i numeri successivi. Il problema è che un tale tipo di strategia è applicabile solo al mercato italiano, ed è difficile, se non impossibile da esportare all'estero:

"...l’errore grossissimo che facemmo all’epoca e che influenzò lo sviluppo del videogioco italiano fino ad oggi, imputabile specialmente a chi dirigeva l’azienda, fu una spinta insufficiente all’internazionalizzazione. Noi facevamo giochi per il mercato interno, con Dylan Dog ci sei inchiodato. Con Dylan Dog per edicola, poi: il personaggio è tutto italiano, la serialità pure e l’edicola fatta così c’è solo in Italia. I fumetti Bonelli all’estero non esisterebbero così, in Francia i fumetti si trovano solo nelle fumetterie. Non era un modello esportabile.125"

Una situazione ben testimoniata dalla recensione della rivista inglese Commodore Format126 Dylan Dog e gli uccisori, il cui autore, evidentemente noniniziato al personaggio di Tiziano Sclavi, prima ironizza sul nome del detective, che gli ricorda quello di un cartone animato, poi passa a lamentarsi delle atmosfere cupe e “deprimenti” (a suo dire) del gioco, dimostrando di non sapere che Dylan Dog è un fumetto che fa del cinema e della letteratura horror la sua ispirazione principale.

 


 Riferimenti

121 I. VENTURI, Vita di videogiochi: Grosso guaio in Dylan Dog 5, 08/05/ 2009, cit.

122 F. CARLÀ, ivi, p. 327.

123 Vedi T. DONOVAN, op. cit., p. 183.

124 Vedi Ivi, p. 260.

125 I. VENTURI, Op. Cit., 2015.

126 Vedi Commodore Format Magazine, n. 22, luglio 1992, p. 32, reperibile su www.archive.org,http://archive.org/stream/commodore-format-magazine- 22/Commodore_Format_Issue_22_1992_07#page/n31/mode/2up

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