Cap.2.1: Fare videogiochi: la storia di Ivan Venturi

"[Simulmondo] È nata nel 1988 come società a responsabilità limitata. L’idea di fare l’azienda la ebbe Francesco Carlà, che al tempo era uno studente del DAMS e aveva 23 anni – io ne avevo 14 quando ci siamo incontrati la prima volta – lui era un giornalista, scriveva su Rockstar, e stava iniziando una rubrica su MC Microcomputer che si chiamava Playworld. Aveva questo interesse a fare l’azienda, il mondo simulato, il Simulmondo, il simulworld. Poi quando si è reso conto che c’erano le possibilità anche produttive per farlo– perché se vuoi fare un’azienda che fa videogiochi ma non c’è nessuno che fa videogiochi è un problema – io facevo videogiochi e quindi così è nata. Prima c’è stata la volontà di fare alcuni progetti; alcuni sono morti, non hanno mai visto la luce, altri come Bocce sono stati portati alla luce e messi sul mercato.

[…] sicuramente lui aveva un approccio molto teorico, mentre io - sia per mentalità sia per la mia storia personale – ho un approccio estremamente pratico. Facevamo le cose in modo diverso.46"

L’incontro tra Carlà e una figura dotata delle capacità tecniche per rendere reale quello che lo studente del DAMS aveva solo immaginato è fondamentale per la nascita di Simulmondo e gli sviluppi futuri del videogioco italiano: questa figura è Ivan Venturi, all’epoca un ragazzino bolognese nato nel 1970, poi una delle figure di spicco di Simulmondo, infine una delle più importanti personalità del panorama videoludico italiano.

Venturi inizia la sua avventura nel mondo dei videogiochi alla fine degli anni Settanta:

"A quei tempi il telefono fisso era il principale mezzo di comunicazione e l’informazione globale era quasi inesistente. Alla persona comune, questa conoscenza arrivava in maniera sporadica tramite pubblicazioni di divulgazione scientifica. Qui da noi, i computer sui quali si potevano sviluppare videogiochi non venivano prodotti, nè tantomeno distribuiti o pubblicizzati; mancava totalmente una cultura tecnologica che ne diffondesse l’uso al di fuori dell’ufficio o del laboratorio. Negli anni ‘70, per il signor Rossi, la tecnologia del futuro era ancora la conquista di Marte.47"

In questo clima, il giovane Ivan fa il suo incontro con i videogiochi nella penombra illuminata dal neon delle sale giochi e, in seguito, nei bar della riviera romagnola in cui trascorre le vacanze, visto che le sale arcade di Bologna cominciano ad essere vietate ai minori di 14 anni.

I giochi sono costituiti dai classici dei cabinati coin-op, come Pac-man: Venturi ne rimane affascinato, vede in essi delle porte per nuovi mondi dalle infinite possibilità, immaginando di raggiungere le montagne che si intravedono sullo sfondo del campo di battaglia di Battlezone o che tra i frammenti di rocce spaziali di Asteroids compaia un intero mondo da esplorare. È un punto di svolta per il giovane Venturi: se fino a quel momento il suo sogno era di diventare un fumettista, ora conosce la sua strada. Vuole fare videogiochi.

coinup pacmanPac-man coin-up

Nel frattempo sono iniziati gli anni Ottanta e in Italia cominciano a comparire le prime console, tra cui l’Atari 2600 (versione europea del VCS, chiamata così per distinguerla dal successivo 5200 rilasciato nel 1982), l’Intellivision di Mattel e il Colecovision di Coleco, e i primi home computer come il Sinclair ZX80 e ZX81, il Commodore PET e VIC 20, il Texas Instrument, seguiti poi dai più famosi Commodore 64 e Sinclair Spectrum; mentre l’Apple II, diffusissimo nel resto del mondo, rimane relegato ad una ristretta nicchia di specialisti, anche a causa del costo elevato, venendo utilizzato soprattutto per scopi più professionali. Il ritardo del nostro paese è evidente non solo rispetto agli Stati Uniti o al Giappone, all’epoca avanti anni luce, ma anche rispetto al resto d’Europa, in particolare se paragonato all’Inghilterra, in cui i computer avevano lasciato i laboratori già da diversi anni, prendendo posto nelle case.

Il costo medio di uno di questi apparecchi è molto elevato (il costo di un Commodore 64 si aggira attorno alle 350.000 lire), tuttavia essi permettono una nuova tipologia di gioco, rendendo i videogames fruibili a casa e in ogni momento della giornata, senza doversi recare in sala giochi e inserire una moneta da 200 lire per ogni partita.

Ciò cambia anche il modo di giocare: infatti, i titoli non sono più disegnati per far durare le partite il meno possibile, come accade per i giochi arcade, che aumentano velocità e difficoltà all’aumentare dei livelli per garantirsi più partite consecutive e quindi più gettoni, ma sono pensati per un ambiente casalingo, in cui il giocatore ha tempo e possibilità per l'esplorazione, anche se la scarsa capacità di memoria delle macchine domestiche rende i giochi meno belli da vedere e meno sofisticati rispetto agli arcade, che possono contare su maggiore potenza di calcolo.

Tuttavia, questa situazione è destinata a cambiare velocemente, poiché sta iniziando a diffondersi anche nel nostro paese un nuovo modello di home computer il Commodore Amiga, lanciato nel 1985, che può contare su un processore a 16 bit, garantendo una qualità di grafica e sonoro inimmaginabile per le macchine della vecchia generazione.

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Amiga 1000

In questi anni Venturi comincia ad avvicinarsi alla programmazione grazie al fratello Mirko, appassionato di computer e “studioso del lato tecnico dei videogiochi”48, il quale si fa prestare i computer da amici e conoscenti (non possedendone uno proprio) per testare le proprie capacità. È allora che casa Venturi comincia a riempirsi di riviste dicomputer da cui i due fratelli ricavano listati e codici che inseriscono pazientemente nella macchina per ottenere rudimentali videogiochi.

"Il computer ormai non era più solo una cosa che si trovava alla NASA o nei bunker del Pentagono. Era nelle case di tutti, o meglio, di tutti quelli che potevano permetterselo. Infatti ci si trovava magari di pomeriggio a casa di quell’amico (beato!) il cui padre aveva comprato il Commodore 64 e un paio di (audio)cassette pienedi videogiochi amatoriali, o dallo zio di quell’altro che ci lasciava armeggiare un pomeriggio intero alla tastiera del VIC20. Per esempio, si tentava di risolvere l’avventura testuale The Count di Scott Adams, completamente in inglese. Quindi, armati di vocabolario oltre che di logica e inventiva, io e i miei amici cercavamo di scoprire come superare gli enigmi e salvarci dal vampiro (il conte) che infestava l’antica casa. Per noi era un’esperienza senza precedenti, il gioco al quale avevamo sempre sognato di giocare.49"

Sono proprio queste prime esperienze a rendere ancora più fermo Venturi nel suo proposito: creare mondi virtuali, disegnare di propria mano avventure all’altezza degli adventure di Adams, diventare, cioè, un programmatore di videogiochi.

Nel 1981, Venturi scrive il suo primo programma in BASIC su un Commodore 64 prestato al fratello dall’amico Stefan Roda: è il primo passo della sua carriera. Nel frattempo, continua a coltivare la propria creatività riempiendo quaderni con i suoi fumetti, frequentando le sale giochi (specialmente la Antares, nel centro di Bologna, che non chiede la carta d'identità ai clienti) e leggendo una rivista di videogames, Videogiochi, che divora, esaminandone articoli e pubblicità e immaginando tutte le partite che potrebbe fare ma non può, non possedendo né computer né console. Videogiochi si concentra soprattutto sui titoli arcade e per console domestica, nonché sui flipper, tralasciando il mercato degli home computers; ciò è dovuto al fatto che la rivista si rivolga principalmente ai videogiocatori, mentre il pubblico dei computer ha competenze più tecniche, maggiormente orientate alla programmazione. È così che la rivista è costretta a chiudere, non riuscendo ad intercettare la massa critica dei computeristi.

Come abbiamo visto precedentemente, le riviste grandi e piccole che nascono in questo periodo sono il punto di riferimento per gli appassionati di videogiochi dell'epoca in Italia.

Accanto ad esse gli altri punti di ritrovo sono costituiti (oltre che dalle sale giochi) dalle edicole.

All’epoca, infatti, i videogiochi venivano venduti da negozi di giocattoli, come PerGioco di Milano, o da negozi come Nannucci di Bologna, un negozio di musica che ha una sezione dedicata ai videogiochi. Qui si vendono giochi originali, provenienti direttamente dall’estero in copie non “localizzate”, prive cioè di traduzione, sia per quanto riguarda il software sia per quanto riguarda il manuale.

Le edicole, invece, offrono software decisamente più amatoriale, ma hanno prezzi minori e sono diffuse capillarmente sul territorio, divenendo il principale punto vendita di videogiochi dell'epoca: vi si possono trovare riviste di informatica con allegata audiocassetta che contiene il programma, spesso fatto “in casa” dallo stesso editore della rivista, come, ad esempio, System3 per citarne una. Il costo si aggira attorno alle 9.000 lire, più o meno il prezzo di un LP 33 giri in vinile.

Ben presto, però, l’intera offerta disponibile nelle edicole risulta costituita da versioni pirata dei maggiori titoli stranieri; la stessa cosa avviene nei nascenti negozi di computer, spesso su iniziativa degli stessi proprietari, appassionati di informatica che vedono l’abilità di sproteggere e copiare un gioco come una dimostrazione delle proprie capacità davanti alla tastiera. La pirateria sopperisce alla mancanza di distribuzione di cui soffre gran parte dei titoli, al punto che gli appassionati si servono di questa sorta di “borsa nera” per mettere le mani sui giochi cui sono interessati:

"[Vi erano] gruppi di appassionati di Commodore 64, che all’epoca si riunivano in club o circoli. Uno di questi aveva affittato uno spazio aperto solo agli iscritti: una volta a settimana arrivavano 50 floppy dalla Germania con giochi e software nuovi e ci si trovava lì a copiare quello che poteva interessare. Si pagava un abbonamento mensile e si potevano copiare sul posto tramite Commodore 64 modificati che svolgevano l’operazione in un passaggio solo, macchine che nessuno si poteva permettere di avere in casa. Lì si potevano conoscere vari appassionati, tramite i quali si poteva arrivare alle copie migliori e sicuramente funzionanti: infatti, se ci si accontentava di giochi “semplici” come quelli sportivi, se ne potevano trovare facilmente copie funzionanti; ma se si cercavano giochi più complessi, come gli adventure che erano decisamente più lunghi, si poteva incappare in errori di copiatura o malfunzionamenti di cui non si era accorto chi aveva fatto la copia pirata. Ad esempio, ad un certo punto il gioco poteva chiedere di inserire il secondo disco; a quel punto si scopriva che il pirata di era dimenticato di copiarlo e perciò non si poteva proseguire nel gioco.50"

A ciò si unisce un generale disinteresse da parte delle autorità e delle persone comuni, sprovviste degli strumenti giuridici e culturali per comprendere il valore dei giochi:

"Anche a me è capitato di piratare giochi, ne avevo centinaia, chiaramente nessuno comprato. Alcune cose, per esempio Space Taxi, non c’erano in negozio, tu lo ricevevi perché c’era l’amico che te lo dava. La cultura videoludica era alimentata dalla pirateria in quegli anni, la gente non sapeva cosa fossero i videogiochi, men che meno i giudici: non c’erano gli strumenti giuridici per difendersi. Se facevi causa a qualcuno che ti aveva piratato il gioco, il giudice non capiva di cosa si stava parlando, diceva: “ma è solo un giochino”. Non c’era comprensione del valore economico che vi stava dietro.51"

space taxi 01

Space Taxi per Commodore 64

Il prezzo di un videogioco pirata va dalle 5.000 alle 15.000 lire, a seconda delle dimensioni e dell’importanza dei giochi, divenendo ben presto un vero e proprio business per chi se ne occupa.

Ma torniamo a Venturi, il 1983 è l’anno della svolta, poiché mette tra le mani del giovane un computer a sua disposizione, uno Sharp Mz 700 con registratore di cassette e plotter integrati, portato a casa dal fratello per realizzare un software gestionale per conto di un negozio. Nei momenti liberi, Venturi riesce a metterci le mani, creando ilsuo primo videogioco vero e proprio che è un adventure testuale in stile fantasy, sulle orme del già citato Scott Adams, idolo del giovane programmatore:

"Sfruttando a fondo tutta la memoria dello Sharp Mz700 (quella che rimaneva libera una volta caricato’ il linguaggio basic), produssi questo vasto e confuso scenario fantasy in cui, attraverso il semplicissimo parser (interprete di istruzioni) che avevo scritto, si affrontavano situazioni avventurose basate totalmente sulla mia immaginazione. Ogni ambiente, nel gioco descritto in 5-6 righe di testo, era nella mia testaun’ambientazione reale. Finalmente ero riuscito a togliermi qualche mondo” dalla testa e a ricrearlo!

“Nord”, “Prendi”, “Lascia”, “Uccidi”, “Scava”… quante cose si potevano fare con così poche istruzioni disponibili per il giocatore!

A livello di programmazione, era di una semplicità estrema. Tanti blocchi di programma basic, praticamente uno per ambiente, in cui all’inizio c’era la visualizzazione della descrizione dell’ambiente, parte di essa dinamica in base allo stato delle variabili (se la variabile PORTAPLUMBEA = 1 allora scrivi “DAVANTI ATE LA PORTA PLUMBEA E’ SPALANCATA!”); poi l’input

delle istruzioni impartite dal giocatore, poi la serie di IF-THEN che accendeva/spegneva le variabili che memorizzavano le porte aperte e chiuse; la serie di IF-THEN che rimandava ad altri ambienti, normalmente collegate alle istruzioni di direzione NORD, SUD eccetera.

Infine, un bel “NON POSSO FARLO”. Cioè, se l’istruzione scritta dal giocatore non veniva interpretata, il parser rispondeva semplicemente picche, sia che si fosse scritta una parola senza senso, sia che tale parola non fosse prevista in quell’ambiente.

Insomma: il mio primo adventure non era esattamente un gioiello di programmazione. Ma il vasto pubblico che ebbi (mio fratello, mio cugino, un paio di miei amici, forse mia madre) lo apprezzò, diciamo che non si rifiutò di giocarlo. Ci dedicai quasi tutto il mio tempo libero, realizzavo 5-10 ambienti (o locazioni) diversi al giorno. In un mese lo scenario dell’adventure era quindi piuttosto ampio, quasi un paio di centinaiadi locazioni. Per giocarlo tutto ci voleva una mezza giornata buona.52"

Dopo qualche tempo, il computer viene restituito e il gioco, nella sua unica copia su cassetta e listato, finisce in un cassetto. Ma non importa: per la prima volta il ragazzo è riuscito a creare qualcosa di suo, a far uscire dalla propria testa uno di quei mondi tanto a lungo immaginati. Ormai la strada verso Simulmondo è segnata.

 


Riferimenti

46 IVAN VENTURI, Intervista da me effettuata il giorno 26/05/2015 presso il Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna.

47 I. VENTURI, Una vita di videogiochi: anni „70, 16/12/2008, in Fare Videogiochi: Appunti e memorie di Ivan Venturi, www.kolagames.it, http://www.koalagames.it/koalaweb/pages/farevgblog/index.php/date/2008/12/page/2/.

48 I. VENTURI, Una vita di videogiochi: iniziano gli anni ‘80, 17/12/2008, cit.

49 Ibrid.

50 FEDERICO CROCI, Intervista da me effettuata in data 21/09/2015.

51 I.VENTURI, OP.Cit.,2015.

52 I. VENTURI, Il primo adventure che ho scritto, 23/12/2008, cit.

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